Pfas: ecco la mappa delle maledette ‘molecole eterne’ in Toscana
Per l’agenzia Arpat il 70 per cento delle stazioni in acque superficiali e il 30 per cento delle stazioni in acque sotterranee monitorate in Toscana presenta residui di queste sostanze. Un risultato drammatico se si pensa che sono tra le sostanze chimiche tra le più pericolose al mondo per gli effetti sulla salute umana, molte e le trasformazioni ormonali che possono indurre. Tano che partendo da ditte dell’Alto Veneto che producevano soprattutto tessuti per giacche e giacchette impermeabili per sport hanno creato un disastro ambientale in una zona che coinvolge centinaia e centinaia di migliaia di persone, in un’aerea che va dal trevigiano alla bassa padovana.
Danni ambientali di cui si era vista l’eco anni ed anni prima negli Stati Uniti, con lo scandalo Dupont.
Le molecole “eterne”, perché difficilmente smaltibili, furono create in laboratorio prima per esigenze militari e poi industriali, sono utilizzate fondamentalmente dagli anni ’50 per la produzione di numerosi prodotti commerciali: impermeabilizzanti per tessuti, tappeti, pelli, insetticida, schiume antincendio, vernici, rivestimento dei contenitori per il cibo, cera per pavimenti e detersivi.
Proprio per la loro “eternità” si accumulano nei tessuti e negli organi animali, essendo pressochè impossibili da metabolizzare per gli organismi viventi, per cui si accumulano nel tempo arrivando a generare tumori e mutazioni genetiche. Mentre nell’ambiente permangono per centinaia di anni.
La stessa Arpat sul proprio sito così si esprime su Pfas e salute:
“Disfunzioni del sistema immunitario: nel 2016, il National toxicology program (Ntp) ha concluso che il Pfoa e il Pfos (due Pfas più comunemente usati e trovati nell’ambiente) sono considerati un rischio per la funzione del sistema immunitario sano negli esseri umani; l’esposizione degli adulti ai Pfas è stata anche associata ad una diminuzione nella produzione di anticorpi.
Cancro: i dati epidemiologici sulle associazioni tra Pfas e rischio di cancro sono limitati, gli studi condotti mostrano che le persone esposte ad alti livelli di Pfas possono avere un aumento del rischio di cancro al rene o ai testicoli, tuttavia, questi studi potrebbero non aver esaminato altri fattori come il fumo. Altre ricerche condotte su animali hanno dimostrato come Pfoa e Pfos possono causare cancro al fegato, ai testicoli, al pancreas e alla tiroide. Tuttavia, alcuni scienziati ritengono che gli esseri umani potrebbero non sviluppare gli stessi tumori degli animali.
Sviluppo cognitivo e neurocomportamentale dei bambini: alcuni studi epidemiologici sull’uomo hanno mostrato associazioni tra alcuni Pfas ed effetti sullo sviluppo. Uno studio sull’uomo ha rilevato un’associazione tra esposizione ai Pfas durante la gravidanza e diminuzione del peso alla nascita e della circonferenza della testa, solo nei maschi. Altri studi hanno dimostrato relazioni tra esposizione prenatale a determinati Pfas (soprattutto Pfos) ed effetti neurocomportamentali come, ad esempio, abilità cognitive, sviluppo psicomotorio, disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività.
Disturbi endocrini: gli studi suggeriscono che l’esposizione precoce ad alcuni Pfas può contribuire allo sviluppo di malattie metaboliche, tra cui l’obesità e il diabete di tipo 2. Sebbene sia necessaria un’ulteriore conferma, i risultati di uno studio suggeriscono che l’esposizione ad alcuni Pfas durante la gravidanza possa influenzare il metabolismo dei lipidi e la tolleranza al glucosio. La fertilità è un altro risultato correlato agli effetti endocrini: una revisione della letteratura sulle recenti prove epidemiologiche umane sull’associazione tra esposizione ad alcuni Pfas e misure di fertilità umana mostra il potenziale di effetti sulla fecondabilità femminile (cioè la probabilità di concepimento).
In Italia, nonostante il disastro del Veneto, come spesso avviene, dato che l’interesse viene prima di ogni altra cosa, manca ancora una legge in materia di Pfas che semplicemente ne impedisca l’utilizzo. E intanto gli studi ci dicono che oltre al Veneto, le regioni più contaminate da sostanze polifluoroalchiliche, sono: Lazio, Piemonte, Lombardia e, purtroppo, Toscana.
Tanto che il nostro Paese registra il più grave inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche in Europa!
Già in commissione parlamentare, nella relazione della scorsa primavera si affermava che: “Arpat individua nel territorio toscano, quali fonti di origine dei Pfas, il comparto tessile della provincia di Prato e un distretto conciario di valenza internazionale a Santa Croce sull’Arno e San Miniato Fucecchio, in provincia di Pisa. Inoltre, Arpat ritiene come probabili fonti di pressioni anche gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane e industriali e le discariche di rifiuti”. Sono questi i territori dai quali, secondo Arpat, proviene la maggior parte dei Pfas in Toscana. Come scrivemmo nell’articolo pubblicato a suo tempo.
Andando invece a leggere i dati dell’annuario presentato in questi giorni di Novembre 2022, si apprende che: “Il 70% delle stazioni in acque superficiali e il 30% delle stazioni in acque sotterranee monitorate in Toscana presenta residui di Pfas. Tutti i campioni del biota (animali e vegetali, pesci in primis) hanno residui di Pfas cioè nel 100% dei campioni monitorati”. (!)
Sempre Arpat scrive che: “Il 37% delle stazioni in acque superficiali monitorate supera gli standard europei di Pfas. Nelle acque sotterranee e nel biota non si rileva alcun superamento di soglia”.
Il disegno di legge in discussione al Senato prevede soglie massime di sversamento. Ma non è affatto questa la strada: basterebbe pensare agli esiti della vecchissima Legge Merli, una delle prime leggi antinquinamento in Italia che prevedendo proprio percentuali e limiti (siamo in ambiente liquido, dove tutto è facilmente…diluibile!) questi venivano tranquillamente elusi o bypassati. Per scienziati ed ecologisti, l’unico limite accettabile è pari a zero. Cioè mettere fuori legge queste sostanze, punto e basta. Su questa linea, ma sarà davvero così? Pare si muova l’Unione europea per bandire la produzione di sostanze perfluoroalchiliche.