Ognissanti, il Capodanno celtico…

L’avvicendarsi delle stagioni, dei cicli solari, il periodico ripetersi dei fatti della natura, richiamano da sempre ad una dinamica circolare del tempo.
Il cerchio finisce e ricomincia in un mordersi la coda, e proprio il serpente che si morde la coda rappresenta il tempo periodico e l’anno stesso (annus significa anche cerchio).
Ma quale era un tempo, nel cerchio il punto di fine-principio, cioè quello del Capodanno?
Questa data non era la stessa per tutti, e non lo è stata fino a tempi relativamente recenti.
Alcune popolazioni ponevano il Capodanno nel periodo del solstizio invernale, altre alla fine dell’Inverno, altre al momento di ricondurre il bestiame ai villaggi, ecc…
L’antico Capodanno Celtico, per esempio, si celebrava agli inizi di novembre, un rito che sopravvive ancor oggi presso i popoli anglosassoni con la festa di Hallowen, che in Italia si festeggia da secoli e non è una festività prettamente americana.
I Celti, popolo di agricoltori e allevatori, ci hanno lasciato molte usanze e tradizioni, come quelle relative al loro Capodanno.

Novembre per i Celti faceva da spartiacque fra la chiusura e il rinnovamento di un ciclo, fra un anno agricolo e l’altro, con la fine dei raccolti e l’inizio delle semine: il grano è stato appena seminato, è” sceso negli inferi”, nel cuore della terra, il regno dei defunti e inizia il suo lento cammino verso la futura germinazione.
Per ingraziarsi i morti i Celti festeggiavano il loro Capodanno ritrovandosi nei cimiteri fra fuochi, canti e libagioni, in onore dei loto defunti, che in quella sera di passaggio da un anno all’altro erano autorizzati a ritornare sulla terra in comunione con i vivi.
Di notte e di primo mattino essi tornavano nelle loro vecchie dimore, e dovevano essere accolti degnamente: a loro si lasciava il fuoco acceso, i lumini alle finestre, la tavola imbandita, le fave sui davanzali…

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