Il comandante partigiano Lorenzo Bandelloni attribuì nel 1951 la responsabilità dell’eccidio di Sant’Anna al 35° RGT della 16esima SS Panzer Grenadier Division.

Stazzema_ In questi giorni, rileggendo e rileggendo quanto è stato scritto durante questi 75 anni sulla strage di Sant’Anna di Stazzema a seguito della testimonianza rilasciata dal superstite Gino Ceragioli, del riscontro che è in corso sui nominativi delle vittime scolpiti sulla lapide nuova presso l’Ossario di Sant’Anna di Stazzema, e, infine, degli strascichi sollevati dall’orazione ufficiale del 75° anniversario della Liberazione, si scopre che nel dispositivo della sentenza emessa il 31 ottobre 1951 dal Tribunale di Bologna e in cui Walter Reder venne assolto dal crimine di Sant’Anna, il comandante partigiano Lorenzo Bandelloni, nella sua deposizione, indicò come responsabile della strage il 35° Reggimento, ossia proprio l’unità di SS che poi, 54 anni dopo, sarà identificata dal Tribunale militare di La Spezia come responsabile dell’eccidio, principalmente gli uomini del II Battaglione comandato dal capitano Galler. Non si comprende il perché durante il mezzo secolo trascorso si sia continuato a dare la caccia a Reder e non si sia invece cercata la responsabilità del 35° Reggimento SS. Ciò è continuato anche quando nel 1994 si ebbe fra le mani la prova concreta che il reparto assassino non era quello di Reder. La caccia alla responsabilità di Reder è durata fino al 1999, anno in cui è iniziato il tracollo di questa sicumera. Già il partigiano Badalacchi, nella testimonianza resa nel 1984 a Lodovico Gierut e pubblicata sul libro Una strage nel tempo afferma: ” Tutti danno la colpa a Reder di S. Anna, ma Reder non ne sa nulla, a S. Anna comandò questo capitano”. Badalacchi si riferisce a un capitano della Ghestapo che si era infiltrato quando il comando partigiano era allogato in località La Porta.

Sorge spontanea una domanda: ma la deposizione di Bandelloni è stata letta da coloro che hanno affermato per decenni che il colpevole dell’eccidio era l’unità comandata dal maggiore Reder? Tra l’altro Bandelloni, con la sua deposizione resa nel 1951, mette anche in discussione che l’operazione del 12 agosto 1944 fosse programmata nei minimi particolari. Per quale ragione affermò che le unità tedesche si impelagarono nelle montagne circostanti? Ma non c’erano le guide italiane? Voleva coprire questo fatto o fu davvero così, anche se appare poco credibile questa seconda ipotesi, perché i nazifascisti conoscevano bene i luoghi e sapevano dove concentrarsi. Le informazioni ricevute dalle spie e le guide italiane non potevano disperdere le unità tedesche fra i boschi. La sera dell’11 agosto 1944 un fascista di Pomezzana che aveva partecipato alla Marcia su Roma tolse dalla canonica di Mulina la sua bici. Alle prime luci dell’alba del giorno dopo ci fu il massacro e l’incendio della canonica. Fu un mero caso o qualcuno sapeva?

Un’ultima annotazione, per certi versi singolare ma non troppo: riscontrando libri e fonti che per vari motivi sono osteggiati si ricavano maggiori verità di quanto le possiamo trarre dai libri e fonti che hanno ricevuto onori istituzionali e grande rilievo con paginate promozionali da parte dei giornali. Si fa sempre più considerevole la convinzione che la lacerazione civile della guerra fratricida abbia influenzato più di quanto si creda la conoscenza della storia e limitato lo scoperchiamento di questo pentolone bollente che si rivelò l’estate del ’44 in Versilia.

Giuseppe Vezzoni,addì 27.9.2019

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