Il Santo del giorno, 24 Ottobre: S. Antonio Marie Claret – Proclo di Costantinopoli – Maglorio di Dol

Spirito grande, sorto come per appianare i contrasti: poté essere umile di nascita e glorioso agli occhi del mondo; piccolo nella persona, però di anima gigante; modesto nell’apparenza, ma capacissimo d’imporre rispetto anche ai grandi della terra; forte di carattere, però con la soave dolcezza di chi sa dell’austerità e della penitenza

Proclo, uno dei tanti pilastri della Chiesa cattolica e della sua dottrina che si formò e plasmò lentamente attraverso i secoli.

Maglorio, uno dei tanti santi, predicatori, vescovi che dal mondo celtico, ritornano verso l’antico mondo romano che li ha attratti al Cattolicesimo.

 

Nato in una famiglia profondamente cristiana di tessitori catalani, con dieci figli, viene ordinato nel 1835, a 28 anni.

L’anno dopo è a Roma e si rivolge a Propaganda Fide, per essere inviato come missionario in qualsiasi parte del mondo. Non potendo raggiungere questo obiettivo, entra come novizio tra i Gesuiti, ma dopo pochi mesi deve rimpatriare per malattia.

Per sette anni predica numerosissime missioni popolari in tutta la Catalogna e le isole Canarie. conquistando un’immensa popolarità, anche come taumaturgo.

Nel 1849 fonda una Congregazione apostolica: i Figli dell’Immacolato Cuore di Maria. Oggi anche conosciuti come Missionari Clarettiani. All’inizio del terzo millennio, essi lavorano in 65 paesi dei cinque continenti. Nel 1936/ 39, durante la guerra civile spagnola, 271vengono uccisi per causa di fede.

Tra questi spiccano i 51 Martiri di Barbastro, beatificati da Giovanni Paolo II nel 1992.

Nominato nel 1849 arcivescovo di Santiago di Cuba (all’epoca appartenente alla corona di Spagna), affronta i gravi problemi morali, religiosi e sociali dell’Isola: concubinato, povertà, schiavitù, ignoranza, ai quali si aggiungono due calamità che colpiscono la popolazione: epidemie e terremoti.

Ripercorre la sua vasta diocesi per ben quattro volte, instancabilmente. Le sue preoccupazioni pastorali si riversano anche in gran parte nel potenziamento del seminario e nella riformazione del clero.

Nell’ambito sociale, promuove l’agricoltura, anche con diverse pubblicazioni e creando una fattoria-modello a Camagüey.

In ogni parrocchia, istituisce una cassa di risparmio.

Promuove l’educazione cercando Istituti religiosi e creando egli stesso insieme alla Venerabile Maria Antonia Paris la congregazione delle Religiose di Maria Immacolata (Missionarie Clarettiane).

La sua strenua fortezza nel difendere i diritti della Chiesa e i diritti umani, com’è naturale, gli genera numerosi nemici tra i politici e i corrotti. E così subisce minacce e attentati, tra i quali uno ad Holguin, dove viene gravemente ferito al volto.

Nel 1857 la regina lo richiama a Madrid come suo confessore. In questa tappa continua ad annunziare il Vangelo nella capitale e in tutta la penisola.

Esiliato in Francia nel 1868 arriva con la regina a Parigi e, anche qui, prosegue le sue predicazioni.

Poi partecipa in Roma al concilio Vaticano I, dove difende con ardore l’infallibilità del Romano Pontefice.

Perseguitato ancora dalla rivoluzione, si rifugia nel monastero di Fontfroide, presso Narbona, dove spira santamente il 24 ottobre del 1870.

Sulla tomba, vengono scolpite le parole di papa Gregorio VII: “Ho amato la giustizia e odiato l’iniquità, per questo muoio in esilio”.

Il suo corpo si venera nella Casa Madre dei Clarettiani a Vic (Barcellona).

E l’8 maggio 1950, Pio XII lo proclama santo, e dice del Claret: “Spirito grande, sorto come per appianare i contrasti: poté essere umile di nascita e glorioso agli occhi del mondo; piccolo nella persona però di anima gigante; modesto nell’apparenza, ma capacissimo d’imporre rispetto anche ai grandi della terra; forte di carattere però con la soave dolcezza di chi sa dell’austerità e della penitenza; sempre alla presenza di Dio, anche in mezzo ad una prodigiosa attività esteriore; calunniato e ammirato, festeggiato e perseguitato. E tra tante meraviglie, quale luce soave che tutto illumina, la sua devozione alla Madre di Dio”.

 

Saint Proclus, Archbishop of Constantinople by Shamshin, Pyotr Mikhailovich (1811 – 1895), Russia, 1847. State Russian Museum, St. Petersburg, oil on canvas, Russian Painting of 19th century.

Proclo di Costantinopoli(… – Costantinopoli, 446) è stato un vescovo bizantino, venerato come santo dalla Chiesa cattolica e da quelle orientali.

Difese la maternità divina di Maria, lottò contro l’eresiarca Nestorio e, dopo la deposizione di costui, divenne Patriarca di Costantinopoli (434-446)

Amico e discepolo di Giovanni Crisostomo, (l’incendiario, dalle parole d’oro, del Tempio di Artemide, ed in questi due personaggi si legge molto dello sgretolamento dell’antico mondo pagano!) divenne segretario dell’arcivescovo Attico di Costantinopoli (406-425), che lo ordinò diacono e presbitero.

Il successore di Attico, Sisinnio I (426-427), lo consacrò vescovo di Cizico, ma la gente del posto si rifiutò di riceverlo, e così lui rimase, non a malincuore,  a Costantinopoli.

Alla morte di Sisinnio, il famoso Nestorio riuscì a farsi eleggere arcivescovo di Costantinopoli (428-431), e all’inizio del 429, durante la festività della Theotokos (Vergine Maria), Proclo predicò il suo celebre Discorso sull’incarnazione, che fu poi inserito nell’inizio degli Atti del Concilio di Efeso.

Quando l’arcivescovo Massimiano (431-434) morì, Proclo fu immediatamente intronizzato con il permesso dell’imperatore Teodosio II e dei vescovi riuniti a Costantinopoli.

La sua prima preoccupazione fu il funerale del suo predecessore, e poi inviò ad entrambi i patriarchi Cirillo di Alessandria e Giovanni di Antiochia le consuete lettere in cui annunciava la sua nomina.

Nel 436, i vescovi dell’Armenia consultarono Proclo su certe dottrine prevalenti nel loro paese e attribuite a Teodoro di Mopsuestia, chiedendo la loro condanna.

Proclo rispose nella celebre lettera nota come il Tomo agli Armeni, che egli inviò ai vescovi orientali, chiedendo loro di firmare e di unirsi nel condannare le dottrine chiamate in giudizio dagli armeni. Essi approvarono le lettere, ma per la stima che avevano per Teodoro esitarono a condannare le dottrine attribuitegli. Proclo rispose che egli desiderava la condanna delle dottrine (che non aveva attribuito a Teodoro o a qualsiasi altra persona), non desiderando la condanna di alcuna persona. Un rescritto da Teodosio procurato da Proclo, che dichiarava il suo desiderio che tutti dovrebbero vivere in pace e che nessuna imputazione dovrebbe essere fatto nei confronti di chi è morto in comunione con la Chiesa, placò la tempesta. L’intera vicenda evidenzia la moderazione e la diplomazia di Proclo.

Nel 438, egli trasferì le reliquie del suo vecchio maestro, san Giovanni Crisostomo, da Comana a Costantinopoli, dove le seppellì con grandi onori nella Chiesa dei Dodici Apostoli. Anche questa azione servì a riconciliare con la Chiesa coloro che si erano separati a seguito della sua deposizione ingiusta da arcivescovo.

Nel 439, su richiesta di una delegazione di Cesarea di Cappadocia, Proclo scelse come loro nuovo vescovo Talassio, che stava per essere nominato prefetto del pretorio d’Oriente.

Al tempo di Proclo entrò in uso il Trisagion.

L’occasione sarebbe stata in occasione di una serie di terremoti violenti a Costantinopoli per la durata di quattro mesi, al punto che le persone furono costrette a lasciare la città e si accamparono nei campi.

Il Trisagion (“tre volte santo”) (chiamato anche Trisagion angelico) è un inno usato in maniera comune nella liturgia delle Chiese orientali cattoliche e ortodosse e presente anche nella Chiesa latina. 

Il Trisagion è un’estensione della lode a YHWH che troviamo in Isaia 6,3 e in Apocalisse 4,8.

La frase Dio santo, Dio potente, Dio immortale, abbi pietà di noi appare per la prima volta in uno scritto del patriarca Proclo (434-446): erano gli anni in cui cominciavano ad apparire le eresie. L’inno nacque quindi in funzione anti-ariana.

Proclo morì probabilmente nel mese di luglio del 446. Egli sembra essere stato saggio, moderato e conciliante; aderì strettamente all’ortodossia, ma fu sempre desideroso di conquistare coloro che differivano da lui con la persuasione piuttosto che la forza.Culto

Il Martirologio Romano riporta il suo elogio alla data del 24 ottobre:

« A Costantinopoli, san Proclo, vescovo, che proclamò coraggiosamente la beata Maria come Madre di Dio e riportò dall’esilio nella città con solenne processione il corpo di san Giovanni Crisostomo, meritando per questo nel Concilio Ecumenico di Calcedonia l’appellativo di Magno. »

(Martirologio Romano)

Maglorio di Dol, in lingua francese Magloire, ma chiamato anche Sant Maelor in Bretagna o Saint-Mannelier sull’isola di Jersey (Glamorgan, 535[2] – Sercq, 24 ottobre 605), è stato un vescovo e un abate bretone di origine gallese; fu allievo di sant’Iltud.Storia

San Maglorioè uno dei tanti santi bretoni (qualcuno poi spiegherà il perché dei tanti santi, vescovi, predicatori dal mondo celtico della Bretagna, dell’Irlanda, da quelli ai confino con l’Atlantico…forse la spiegazione è un po’ quella di come il mondo eclettico dei Romani accolse gli Etruschi ben più avanti di loro, nelle cose del’al di là, dei riti di fondazione, nell’aruspicina…) che la tradizione vuole venuti nella Bretagna continentale, provenienti da oltre Manica. La sua vita è stata narrata da un anonimo monaco dell’abbazia di Lehon, che custodì le reliquie del santo, nell’opera Vita Maglorii, capolavoro dell’antica letteratura bretone.

Egli è ritenuto, secondo la Vita Maglorii, cugino di san Macutoe di san Sansone, al quale sarebbe succeduto sul seggio episcopale di Dol.

Dietro ingiunzione di un angelo, egli avrebbe abdicato in favore di san Budoco, per ritirarsi a vita eremitica sull’isola di Sercq, ove condusse la sua vita monastica alla testa di sessantadue discepoli.

Dopo la morte, il suo corpo sarebbe stato trafugato dai monaci della futura abbazia di Léhon.

Nel periodo 956 – 966, durante le invasioni normanne, Ugo Capeto ne fece trasferire le reliquie a Parigi, per metterle al sicuro. Furono poste nella chiesa di Saint-Barthélemy, sull’île de la Cité, che prese il nome di San Maglorio, poi le fece trasportare nella chiesa appositamente eretta ed a lui dedicata in rue Saint-Denis.

Nel 1572, esse furono trasferite nella chiesa di Saint-Jacques-du-Haut-Pas.

Iconografia

Numerose sono le opere d’arte che lo raffigurano: egli è ritratto come pellegrino o come eremita.

Nella chiesa del convento camaldolese di Faenza, è raffigurato in un quadro del pittore romano Antonio Mancini.

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