Il Santo del giorno, 23 Febbraio: S. Policarpo di Smirne
Oggi è il 54º giorno del Calendario Gregoriano, mancano 311 giorni alla fine dell’anno (312 negli anni bisestili).
Il Cristianesimo ricorda anche:
San Giovanni Theristis, monaco
San Lazzaro, monaco a Costantinopoli
San Livio martire romano
San Pitosforo da Frederikshavn, monaco
San Primiano di Ancona, vescovo e martire
Santa Romana, venerata a Todi
Beata Giuseppina Vannini, cofondatrice delle Figlie di San Camillo
Beata Rafaela Ybarra de Vilallonga, fondatrice delle Suore dei Santi Angeli Custodi
Abbiamo scelto, per la giornata di oggi, di parlarVi di:
Policarpo di Smirne(Smirne, 69 circa – Smirne, 23 febbraio 155) è stato un vescovo, teologo e santo greco antico. Fu discepolo di Giovanni apostolo e divenne vescovo di Smirne durante il regno di Traiano. Come teologo, godette di grande autorità e fu uno dei pastori più stimati del tempo.
Dei suoi numerosi scritti, sono pervenute solo una Lettera di Policarpo ai Filippesi, scritta alla comunità di Filippi (tra il 107 e il 140), in cui riferisce del viaggio di Ignazio di Antiochia a Smirne e dalla quale si ricavano numerose informazioni sugli usi e la fede dei primi cristiani. Fu maestro di Ireneo di Lione, fondatore di chiese nelle Gallie e suo biografo. Secondo la tradizione, sarebbe stato lui ad inviare in Gallia Benigno di Digione, Andochio, Andeolo del Vivarais e Tirso (venerati come santi dalla Chiesa Cattolica) per evangelizzare il Paese.
Dalla sua celebre passio (comunemente nota come Martirio di san Policarpo), redatta sotto forma di lettera circolare inviata alla comunità cristiana di Filomelio, città della Frigia posta tra Licaonia e Antiochia di Pisidia, si deduce che nacque nel 69 (avrebbe subito il martirio all’età di 86 anni): figlio di genitori cristiani, fu discepolo, con Papia di Ierapoli, di Giovanni il Presbitero (per la tradizione Giovanni apostolo), dal quale fu consacrato vescovo della città di Smirne.
Divenne uno dei più autorevoli e stimati vescovi del suo tempo, tanto che nel 154 fu scelto come rappresentante della Chiesa d’Asia e inviato a Roma a discutere con papa Aniceto la questione della data di celebrazione della Pasqua.
A Roma e a Smirne contrastò la diffusione delle dottrine docetichedi Marcione e Valentino.
Secondo Ireneo di Lione, che era stato discepolo di Policarpo, Marcione incontrò Policarpo nel 154 e attribuisce a Marcione la condanna, “il primogenito del demonio”, che Policarpo aveva scritto nella sua lettera ai Filippesi, senza indicare nomi.
Il docetismo è una dottrina cristologica, ovvero una concezione sulla vera natura del Cristo. Il suo nome deriva dal verbo greco dokéin, che significa apparire, e trovò nel teologo gnostico Basilide un suo grande assertore. Essa si riferisce alla convinzione che le sofferenze e l’umanità di Gesù Cristo fossero apparenti e non reali: da qui, lo “scandolo della Croce” come lo definivano gli Gnostici, convinti che Dio non poteva soffrire su un patibolo!
Durante l’impero di Antonino Pio (138 – 161) fu catturato per ordine del proconsole Stazio Quadrato: essendosi rifiutato di sacrificare per l’imperatore, fu condannato ad essere arso vivo nello stadio della sua città e, visto che miracolosamente le fiamme non lo consumavano, fu ucciso con un colpo di pugnale (sabato 23 febbraio 155).
Lettera di Policarpo ai Filippesi
La lettera testimonia una visione ancora molto comunitaria di Chiesa: diaconi e presbiteri (e donne!) non sono infatti posti in una gerarchia a parte, ma vengono visti insieme agli altri componenti della comunità. La lettera si rivolge innanzitutto alle donne, seguite quindi dai diaconi, dai giovani e dai presbiteri. Riguardo a questi ultimi, dal testo si evince che essi si occupavano della visita agli infermi e dell’assistenza alle vedove e agli indigenti oltre che, forse, della riconciliazione dei peccatori.
La lettera, che ci è giunta parzialmente in greco e integralmente in una traduzione in latino, nasce probabilmente dalla fusione di due scritti: il primo (cap. 13-14) è un biglietto di accompagnamento delle lettere di Ignazio raccolte da Policarpo (110 circa), il secondo è invece un testo sugli affari interni della Chiesa e sul rischio dell’eresia (cap 1-12), scritto diversi anni dopo.
Lo scritto ha un’impostazione anti-docetista e conferma numerose affermazioni fondamentali per l’ortodossia allora in fase di formazione. Nella sua lettera Policarpo cita ripetutamente la prima lettera di Pietro e varie lettere di Paolo. Sono presenti inoltre due citazioni della prima lettera di Giovanni, mentre mancano citazioni dirette dai vangeli.
Deriva dal nome greco antico Πολύκαρπος (Polykarpos), latinizzato in Polycarpus. È composto da πολυς (polys, “molto”) e καρπος (karpos, “frutto”), e significa quindi “ricco di frutti”, “fruttifero” o, per estensione, “creativo”.
Si tratta di un nome augurale, che godette di particolare diffusione presso i primi cristiani. È analogo, per significato, ai nomi Efrem o Efraim (ebraico) Eustachio (greco che vuol dire buone spighe) e Fruttuoso e pure Crescenzio.