Il Santo del giorno, 2 Luglio: Madonna di Provenzano,
primo Palio a Siena – S. Processo e Martiniano, carcerieri di Pietro e Paolo – Monegonda, taumaturga a Tours
I due santi di oggi, convertitisi, fecero scappare i due Apostoli e pagarono con il martirio. La santa odierna, dalle enormi capacità di guarigione, si sposta sulla tomba di S.Martino, celebre meta medioevale, e qui tra digiuni e preghiera, guarisce i tanti malati di quei secoli.
La Madonna di Provenzano, invece, ci porta a Siema dove dà il nome al primo Palio dell’anno!
Oggi è la giornata dei santi dai nomi strani! Almeno per noi. Naturalmente, nel loro tempo, forse, sembravano normali. Si sa che tutto cambia, nella vita dell’uomo. Anche i nomi. Che fino a poco tempo fa, si mutuavano dalle vallette della tv, poi dalle fiction. Adesso da Internet?
Comunque,Processo e Martinianofurono due martiri cristiani vissuti a Roma probabilmente nel I secolo, sebbene le date precise della loro morte siano sconosciute.
I manoscritti antichi menzionano i nomi dei due santi il 2 luglio e forniscono anche la collocazione della loro tomba, presso la II pietra miliare della Via Aurelia, o presso le catacombe di Sant’Agata, anch’esse sulla Via Aurelia.
Una tradizione di dubbio valore storico afferma che entrambi i santi erano soldati imperiali, arruolati probabilmente nell’esercito di Nerone, i quali vennero incaricati di sorvegliare gli apostoli Pietro e Paolo, rinchiusi nel Carcere Mamertino prima del loro martirio. I due custodi, affascinati dalle parole e esterrefatti dai loro miracoli, supplicarono di ricevere il battesimo. Dato che nella prigione mancava l’acqua necessaria per il sacramento, l’apostolo Pietro fece un segno di croce in direzione della Rupe Tarpea, e subito da essa ne fuoriscì in abbondanza; una volta battezzati, i due carcerieri spalancarono le porte della prigione e invitarono Pietro e Paolo a fuggire.
Appresa la notizia della conversione dei suoi secondini, il giudice Paulino ordinò la loro cattura e tentò di dissuaderli con atroci quanto innumerevoli supplizi: Processo e Martiniano vennero sottoposti alla contusione della bocca; legati nudi sull’eculeo (una specie di cavalletto), i loro arti vennero barbaramente stirati, mentre i loro corpi, bastonati ed affiancati al fuoco, furono poi esposti agli scorpioni. A questo punto, essi furono “percossi con la spada”, cioè decapitati, come riferisce il Martirologio Romano, lungo la via Aurelia, probabilmente in contemporanea all’apostolo Paolo, anch’egli sottoposto a questo supplizio.
Si racconta che, dopo la loro esecuzione, una donna di nome Lucina raccolse i corpi, seppellendoli nel suo cimitero privato.
Papa Pasquale I (817-824) traslò le reliquie dei due martiri in un cappella dell’antica Basilica di San Pietro. I loro corpi vennero successivamente trasferiti sull’altare che porta il loro nome nel transetto destro dell’attuale Basilica.
Monegonda (il cui nome, in germanico, sta per: amante della battaglia)
Monegonda era originaria di Chartres. Madre di due figli che muoiono prematuramente, si fa costruire una celletta nella quale si ritira in preghiera e digiuno. Il suo solo nutrimento è costituito da un pane d’orzo e da una miscela di ceneri che essa stessa brucia.
Un miracolo certifica rapidamente questo cambiamento. La serva la abbandona, stanca delle sue privazioni. Sprovvista d’acqua per impastare il suo pane, Monegonda si affida a Dio e, a seguito delle sue preghiere, si mette a nevicare ed ella può raccogliere la neve sul davanzale.
Una donna curiosa delle sue privazioni, la spia e diviene cieca! Lei accorre, si mette a pregare e poi, toccando la donna e facendo il segno della croce, le rende la vista.
L’evento fa scalpore e lei, timorosa di soccombere alla vanità, abbandona casa, marito e famiglia e si porta a Tours, presso la tomba di San Martino.
Lungo la via si ferma ad Avoine (lat. Evena), e con un solo tocco, fa uscire il pus da un tumore che sta uccidendo una ragazza, salvandola.
Arrivata a Tours, (forse nel 561) rende grazie a Dio per aver potuto contemplare coi suoi occhi il sepolcro di San Martino, poi si installa lì vicino “in una celletta” per digiunare e pregare. Le guarigioni riprendono: la figlia di “una certa vedova” (sicuramente una persona famosa) è guarita dalla contrattura delle mani (un male molto citato nella letteratura agiografica dell’alto Medioevo).
Monegonda si va circondando di un piccolo gruppo di donne che conduce, all’ombra della tomba di san Martino: preghiera e accoglienza dei malati, nutrimento limitato al pane d’orzo, del vino misto all’acqua nei giorni di festa, stuoie di canne per letto…
Quando Monegonda è sul punto di morire, (forse nel 573) le sue compagne la supplicano di benedire dell’olio e del sale che esse potranno dare ai malati che verranno a chiedere soccorso. Viene sepolta nella sua stessa celletta.
E da allora si moltiplicheranno i “pellegrinaggi di Tours”, il più importante dei santuari taumaturgici della Gallia.
La Madonna di Provenzano e la prima corsa del Palio
La Madonna di Provenzano, venerata col titolo di “Advocata nostra” è un busto in terracotta che rappresenta la Vergine, Patrona e Regina della città di Siena. L’immagine, rivestita da un’ottocentesca lamina d’argento e pietre preziose, è conservata a Siena nella chiesa di Santa Maria in Provenzano, Insigne Collegiata, Parrocchia e Santuario cittadino, intitolato alla Visitazione della Beata Vergine Maria a Santa Elisabetta.
La denominazione di Provenzano è dovuta all’omonimo antico rione nel quale sorge il Santuario. In questa zona si trovavano infatti le case di proprietà della famiglia di Provenzano Salvani, eroe ghibellino della battaglia di Montaperti (1260), citato da Dante Alighieri nella Divina Commedia (Purgatorio XI, 109-142).
La leggenda che si è tramandata narra che sul muro esterno di una delle case del rione era collocata un’immagine in terracotta smaltata raffigurante il tema della Pietà, lì collocata, secondo il racconto popolare, da Santa Caterina da Siena.
Intorno alla metà del Cinquecento, durante i giorni dell’occupazione di Siena da parte delle truppe imperiali di Carlo V, che decretò la fine dell’antica Repubblica (1555), accadde che un archibugiere spagnolo, forse per una bravata, tentò di sparare contro l’immagine sacra, ma il suo archibugio, secondo la narrazione popolare, implose e finì per uccidere il soldato stesso, lasciando integro il busto della Madonna ma distruggendone le braccia e il resto della figura[2][3]. La scultura divenne subito un simbolo della ferita che l’occupazione straniera aveva inferto alla dignità di Siena; l’immagine della Madonna fu ricomposta nella sua edicola e divenne immediatamente oggetto di speciale venerazione da parte dei Senesi e il motivo di riscatto per un intero quartiere, quello di Provenzano, tra i più degradati della Città.
Il 1594 fu chiamato l'”anno de’ miracoli”, in quanto la Santa Sede approvò una serie di fatti prodigiosi avvenuti per l’intercessione della Vergine Maria venerata in Provenzano e stabilì, unitamente alle Magistrature civiche, che si dovesse procedere alla costruzione di una Santuario, per collocare decorosamente l’immagine e agevolare il grande afflusso di pellegrini e la loro accoglienza. I lavori, affidati agli architetti senesi Domenico Schifardini e Flaminio del Turco, iniziarono nel 1595 e terminarono nel 1611. Il tempio, intitolato alla Visitazione della Vergine Maria a Santa Elisabetta, fu dedicato con rito liturgico il 16 ottobre 1611 dall’Arcivescovo di Siena Camillo Borghesi, e il 23 ottobre successivo, con una solenne processione che attraversò tutte le vie della città, venne traslata nel nuovo Santuario la sacra immagine.
La nuova Chiesa, presto eretta da Papa Urbano VIII in Insigne Collegiata, divenne il cuore della devozione mariana dei Senesi in epoca moderna e contemporanea. Molte sono state nei secoli le attestazioni di gratitudine alla Madonna da parte di umili fedeli e grandi personaggi della storia locale, come dimostrano le importanti committenze artistiche all’interno della Collegiata e i numerosi ex-voto.
Ancora oggi il 2 luglio, festa della Visitazione nell’antico calendario liturgico, è per Siena la grande festa in onore della Madonna di Provenzano, venerata sotto il titolo di “Advocata nostra” e in onore della quale si corre nel Campo il celebre Palio del 2 luglio. Alla vigilia della festa, il pomeriggio del 1º luglio, le Autorità cittadine e le Contrade vengono a rendere omaggio alla Madonna portando in solenne corteo il Drappellone, il drappo di stoffa dipinto con l’effigie della Madonna che verrà consegnato al termine della corsa alla Contrada vincitrice. Il Drappellone tornerà infatti in Provenzano la sera del 2 luglio, dopo la corsa, insieme ai contradaioli vittoriosi che vengono a ringraziare la Madonna col canto del Maria mater gratiae.
Le immagini delle Madonna di Provenzano ebbero larga diffusione devozionale per tutto il territorio senese e anche oltre. Una di queste immagini, realizzata su una formella di terracotta invetriata, era presente in una locanda di Arezzo, quando il 15 febbraio 1796 fu al centro di un evento prodigioso: la città da giorni era sconquassata da scosse di terremoto e un gruppo di fedeli, riunitisi nella locanda in preghiera davanti alla sacra immagine, la vide risplendere di un bagliore soprannaturale; il terremoto di lì a breve cessò, senza causare ingenti danni e soprattutto vittime. Da allora l’immagine è venerata col titolo di “Madonna del Conforto” ed è conservata in una cappella interna alla Cattedrale. La festa della Madonna del Conforto è celebrata in Arezzo il 15 febbraio con grande concorso di popolo.
Provenzano Salvani (Siena, 1220 circa – Colle di Val d’Elsa, 17 giugno 1269) è stato un condottiero italiano. Nobile comandante, nipote della nobildonna senese Sapia Salvani, con la quale non condivideva le idee politiche durante la lotta tra Guelfi e Ghibellini, fu a capo della parte ghibellina della Repubblica di Siena che era maggioritaria in città.
Nel 1260 ebbe un ruolo di primo piano nella Battaglia di Montaperti dove i senesi, con l’appoggio delle truppe guidate da Farinata degli Uberti, fuoriuscito fiorentino, riuscirono a sconfiggere le truppe guelfe di Firenze. In occasione del Convegno di Empoli, si scontrò duramente con Farinata degli Uberti, in quanto propugnava la distruzione di Firenze. Fu nominato Podestà di Montepulciano nel 1262 e, successivamente, Cavaliere per poi assumere il titolo di dominus di Siena.
Dove sorgeva la sua residenza a Siena e dove secondo la tradizione si verificò un miracolo della Vergine, fu poi costruita una chiesa, che divenne la chiesa della Madonna di Provenzano.
Trovò la morte nella battaglia di Colle di Val d’Elsa del 16-17 giugno 1269, ucciso dal suo nemico personale Regolino Tolomei. La sua testa fu staccata dal corpo e, issata su una lancia, fu portata, come un trofeo, a giro per il campo di battaglia.
La Divina Commedia[modifica | modifica wikitesto]
Provenzano Salvani è stato citato da Dante nella Divina Commedia dove lo troviamo tra i superbi dal momento che si credette tanto potente e prestigioso da nominarsi Signore di Siena.
Anziché approdare nell’Antipurgatorio, Provenzano si trova nel Purgatorio in virtù di un atto di umiltà: all’apice del potere si era ridotto a chiedere l’elemosina ai suoi concittadini per poter riscattare un amico prigioniero di Carlo I d’Angiò. La sua storia non viene narrata direttamente, ma da un altro personaggio della Commedia dantesca, Oderisi da Gubbio. Nella Divina Commedia è indirettamente protagonista anche di un altro canto, il tredicesimo del Purgatorio, quando a parlare è Sapia Salvani, sua zia da parte di padre, rievocando la vittoria dei guelfi e di Firenze nella battaglia di Colle di Val d’Elsa.
Sapia Salvani (Siena, 1210 circa – Colle di Val d’Elsa, 1278 circa) è stata una gentildonna senese, protagonista di un episodio nel Purgatorio dantesco.
Citata nel tredicesimo canto, era moglie di Ghinibaldo Saracini, signore di Castiglionalto presso Monteriggioni, e zia paterna di Provenzano Salvani. Forse per odio politico contro il nipote, a capo della fazione ghibellina di Siena, fu invidiosissima dei suoi concittadini: per tale motivo, quando ebbe luogo la battaglia di Colle tra Siena e la guelfa Firenze (nella quale morì lo stesso Provenzano Salvani), desiderò che la sua città fosse sconfitta e si rallegrò della strage avvenuta.
Sapìa fu però anche donna caritatevole, come dimostra la fondazione da parte sua nel 1265 (dopo la morte del marito) di un ospizio per i pellegrini, detto di Santa Maria; situato ai piedi di Castiglioncello, presso la via Francigena, venne in seguito ceduto alla Repubblica di Siena, a beneficio del maggiore ospedale della città.
Sapìa, secondo la tradizione, morì uccisa a Colle Val d’Elsa da un sicario senese in via delle Volte, alle spalle di Palazzo Luci.
Oggi si ricordano anche:
San Bernardino Realino, sacerdote
San Console, vescovo di Como
Sant’Egisto
San Lidano d’Antena, abate
San Luigi
Santa Marcia
San Nicola
Santo Stefano il Grande, Voivoda di Moldavia
San Swithun di Winchester, vescovo e martire
Beata Eugenia Joubert