Fu giudicata nella splendida aula di Corte d’Assise di Lucca sconsideratamente distrutta!
1° puntata. Segue un secondo articolo con novità esplosive e nuove dichiarazioni di chi indagò a fondo sul delitto!
Dopo 24 anni di carcere, Angela Di Pietro Maria Luigia Redoli, più nota come la ‘Circe della Versilia’, è libera! La decisone è del tribunale di sorveglianza di Milano, dietro la richiesta presentata dal suo legale, l’avvocato Alessandro Maneffa. La donna, oggi 76enne, era rinchiusa nel carcere lombardo di Opera dopo essere stata condannata, assieme all’amante Carlo Cappelletti per l’omicidio del marito Luciano Iacopi, avvenuto a Forte dei Marmi la notte del 17 luglio 1989. Ricco possidente immobiliare – proprietario di diverse case e fondi – e forse anche, si sospettò, “prestatore” di denaro, – furono infatti trovati, credo anche addosso al cadavere e nella stessa abitazione, tutta una serie di quadernetti fitti di appunti e date, che fecero sospettare un movente di vendetta o di interesse,- Luciano Iacopi venne ucciso con 17 fendenti, nel garage della sua abitazione sulla via Provinciale. Una trafficata traversa dei viali a mare del Forte, il baricentro “politico” sociologico ed antropologico, nonché filmico, delle vacanze versiliesi. Primato rubato alla “vecchia” Viareggio, con la sua darsena dove venivano costruiti i “Barcobestia”. Adesso, la “vita” si è spostata, attorno al Fortino per l’avvistamento dei pirati saraceni, dove allora, all’epoca dei fatti, come adesso, fanno mostra le boutiques con i marchi più prestigiosi (che mancano da Lucca da sempre!). E poco più in là, a ridosso della sabbia più cara della Versilia, fanno bella mostra di sé, i nomi dei bagni altisonanti, dove avvengono “gesta” delle quali si parla per tutto l’inverno, in Via Napoleone a Milano, come più sommessamente, in Via Fillungo! Che si alternano a discoteche, che giocheranno un ruolo fondamentale nei processi per questo delitto e dove ogni lucchese ha vissuto almeno qualche palpito della sua vita. Già il processo: che seguii in prima persona e che vedeva come PM un giovane magistrato di nome Domenico Manzione, oggi Sottosegretario del Governo Renzi e con tanto di sorella cresciuta vertiginosamente da Comandante dei Vigili Urbani in Versilia, poi della prestigiosa piazza di Firenze, voluta dallo stesso Premier a Palazzo Chigi, la quale si sussurra e si nega, sia “garante” di certe clausole del Patto del Nazareno ed oggi addirittura in pole position per succedere nientemeno che a Graziano Del Rio come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio! Allora, l’intelligente e preparato fratello, fu come pubblico ministero, preparato e scrupoloso, proprio al centro e protagonista del procedimento, che fu seguito da centinaia di persone! Come non accadeva a Lucca, forse dal processo alla Banda di Malfattori del 1845 che richiamò proprio alla Corte lucchese persone da tutta il Ducato, dal Granducato a vedere questa volta il giovane Francesco Carrara difendere inutilmente gli imputati dalla ghigliottina, che per l’ultima volta scese sul collo di un colpevole a Lucca! Il Processo alla Circe si svolse nella magnifica aula, unica al mondo, che oggi non esiste più, purtroppo, cancellata da una politica che non ha rispetto per la storia! Un’aula imponente, grondante di rispetto e storia, che aveva visto i processi del Brigante Musolino, dei Sindacalisti di Parma, della Banda Fabbri e di quella di Carità, solo per citare a memoria, pagine giudiziarie storiche che si erano svolte sul bellissimo “trono” in legno per le Corti di Giustizia e le “gabbie” in ferro battuto, tetre sì, ma che davano a Palazzo Ducale un enorme valore aggiunto che oggi, inspiegabilmente, non ha più! Divenuta una stanza anonima, senza che le per altro solerti Sovrintendenti di Lucca abbiano speso una parola! In quest’aula “meravigliosa” che incuteva severità e rispetto, tremarono la Circe che oggi torna in libertà, ed il suo amante Cappelletti, un giovane carabiniere a cui la Versilia, con i suoi afrori di mare, pineta e profumi costosi aveva fatto perdere la testa. Era un artiere, un addetto a strigliare, pulire ed accudire ai cavalli, ma la mitologia forense, lo fece diventare un carabiniere a cavallo! Galeotto fu un “carosello” del Reggimento a Cavallo che si esibì a Marina di Pietrasanta. A scoprire il cadavere in un lago di sangue era stata la stessa moglie, quando era rientrata a casa con i figli Tamara, allora 18 anni, e Diego, 14, dopo l’ennesima notte intensa vissuta ai margini del mare. Le indagini si concentrarono da subito su di lei, affascinante 50enne, non bella, forse come fu dipinta, ma con una malinconica aggressività, tale da ammaliare il giovane militare. Con i capelli di uno strano biondo platino, tagliati corti, sicuramente da una celebre forbice del Forte e gli occhi quasi sempre nascosti da grossi occhiali scuri. Il soprannome Circe forse non le si addiceva: poteva far perdere la testa ad un giovanottone ingenuo e un po’ naif come il Cappelletti. Non aveva naturalmente le capacità di rendere gli uomini maiali, come la celebre Maga i marinai di Ulisse, dal quale l’eroina omerica ebbe proprio due figli, un maschio ed una femmina come la Redoli, ma, – si cominciò a sospettarlo solo durante le fasi iniziali del processo e non ricordo se fu fatta la prova del DNA, – forse non dallo Iacopi! Eppoi la Redoli spendeva cifre dai maghi, per sapere il futuro dalle carte e quindi era succube di loro, non certo capace di filtri e sortilegi in proprio. Anzi l’accusa si basò sul fatto che chiese ad essi ed ad uno in particolare, certo Marco Porticati, prima di eliminare per via esoterica e poi più efficacemente, il marito! Ma il titolo di Circe, rendeva bene, quell’aria un po’ dannunziana che viene dalle gesta del Vate alla Versiliana, un po’ godereccia che il salmastro di ferragosto agevola, quell’atmosfera che non si respira certo dentro le Mura, una città piena di soli conventi, come non ne esiste al mondo! compreso il Tibet o la Città del Vaticano. Lucca, allora, sulla fine della Prima Repubblica, come nel boom economico,- quando Mastroianni e la Loren vivevano la loro indissolubile amicizia anche qui da noi, comprando ville vicine e attigue al Forte o a Torre, – quando doveva peccare, andava di là dal monte. Cosicchè, da sempre, si sapeva del mondo più “caldo” ed anche “torbido” che c’era di là dal Quiesa, che sfilò tutto, assieme a visite a maghi e cartomanti, con personaggi loschi o di mezza tacca, con tutti i suoi tradimenti, affari sporchi e ambiguità e voglia sfrenata di vivere. E non solo nelle calde estati, così lontane da quelle di Pavese e delle Langhe, quando i protagonisti sono i vacanzieri che si dividono in calssi ben distinte: quellli che si portano l’ombrellone, nella spiaggia libera della Darsena viareggina, e quelli dei Bagni di Roma Levante e Ponente o attorno alla Bussola delle Focette, dove le cabine sono diventate un prolungamento di lussuosi alberghi. Poi tutti si mescolano, con incurante interclassismo, sulle Passeggiate. Circe, comunque, per le frequentazioni con l’occulto e per aver stregato quel ragazzone, il “carabiniere a cavallo”, nativo di Norma, in provincia di Latina, un “bonaccione”….forse apparente, perché si favoleggiava che avesse ammazzato un cavallo con un pugno in testa! I due si erano fatti fotografare abbracciati come due sedicenni, in tutta la costa ed erano parte dello sfondo di quell’estate dell’89, nei ristoranti, ai bagni di moda o nelle discoteche che divengono o passano di moda, per vie insondabili o, si narra, attraverso agenzie “segrete” capaci di indirizzare i gusti dei giovani vacanzieri. Ma nell’aula bellissima e tetra di Lucca, il sole della costa non c’era, anche se alla fine brillò nei loro occhi, perché i due amanti, in primo grado, vennero assolti. Sentenza che però, venne ribaltata in appello: ergastolo per entrambi! Il verdetto è infine confermato dalla Cassazione. L’arresto definitivo avvenne nel settembre del 1991. Quando Cappelletti sparò contro i colleghi carabinieri, che lo vennero a prelevare in un’abitazione poco lontana da quella di via Provinciale, forse senza intenzione veramente di far male, ma quasi a far vedere che era un vero uomo!
Ora è passato quasi un quarto di secolo.
Maria Luigia Redoli dunque è libera, ma non del tutto. I giudici di Milano le hanno concesso la liberazione condizionale: per i prossimi cinque anni non potrà allontanarsi dal domicilio dalle 23 alle 6 del mattino. La donna, che nel frattempo si è sposata per la seconda volta, vivrà nella provincia di Pavia con la speranza di tornare ogni tanto nella sua Forte dei Marmi. Ha “stregato” ancora un uomo, segno che le capacità c’erano e non sono acqua! Che l’ha riaccompagnata tutte le sere al carcere dopo il lavoro in semilibertà e due anni fa è convolato, nonostante la gabbia e le sbarre, a nozze.
“Contenta, ma molto tesa” alla notizia che avrebbe lasciato il carcere: così l’avvocato Maneffa descrive lo stato d’animo della Redoli. “E’ stato un percorso molto lungo e accidentato e nell’ultimo anno era molto provata emotivamente, quasi tentata a rinunciare”, spiega il legale ricordando che la prima istanza è stata presentata nel 2012. “Allegati agli atti ci sono diverse relazioni psicologiche sul percorso personale e sulle condizioni della signora Redoli”.
La ‘Circe’, che adesso sembra euforica e che ha dichiarato che per lei inizia addirittura una nuova vita! ha sempre giurato la sua innocenza. Anche dopo la sentenza definitiva e le perizie, spiega ancora l’avvocato Maneffa, “indicano che la signora Redoli ha comunque raggiunto il massimo livello possibile di rielaborazione dei fatti”. E nell’ordinanza di liberazione condizionale si sottolinea la “positiva evoluzione interiore maturata dalla Redoli nel corso dei lunghi anni di carcerazione ed il suo impegno profuso nell’attività lavorativa in carcere e di volontariato”. Maria Luigia Redoli, infatti, usciva dal carcere al mattino per rientrare la sera per prestare volontariato con una cooperativa di Cesano Boscone che assiste disabili psichici. Mi sono chiesto, ma non ho avuto tempo di verificare, se non sia la stessa di Berlusconi! Tra i motivi a sostegno della richiesta anche l’età della donna e del marito, conosciuto nel 2009, che anche al mattino l’accompagnava in auto dal carcere alla cooperativa, guidando per 150 chilometri al giorno! Ma la storia ha anche un risvolto amaro. Triste. Perché in carcere si può anche arrivare a vedere un genitore accusare i figli e viceversa, per discolparsi…e si può capire, perché la reclusione è peggiore di un tumore. Ma dopo così tanto tempo…
Perché sì, pare e traspare, che quella che fu la cosiddetta Circe della Versilia, che si è sempre proclamata innocente, accusi implicitamente del delitto la figlia Tamara! Lo sostiene il settimanale “Oggi”, in edicola in questi giorni, che anticipa i contenuti del libro «Nel buio di una notte di luglio» (Mondadori), scritto da Mario Spezi, celebre giornalista de La Nazione, implicato suo malgrado e senza alcuna colpa nella vicenda del Mostro, che dice:
«Se quel che la Redoli ha detto è vero è devastante. Se non è vero è atroce».
In pratica Maria Luigia Redoli, per la prima volta e contrariamente a quanto dichiarato all’epoca al magistrato, nega di essere stata lei a fare una famosa telefonata al cartomante di Viareggio, Marco Portigati, che era stato pagato inutilmente per ingaggiare gli assassini del marito, al fine di recuperare i soldi:
«perché loro non c’entrano» disse la Redoli. Telefonata invece considerata una delle prove a suo carico, perché i periti riconobbero proprio la sua voce. E poi perché dirlo solo ora? In verità, la Redoli, in questi anni di detenzione, ha più volte affermato di sapere il nome del vero assassino, ma anche che non lo avrebbe mai fatto, ma ora in libertà, le cose paiono tristemente cambiate: «Quella telefonata non l’ho mai fatta. Quella era la voce di Tamara. Ho avuto tanto tempo per pensarci e ora sono certa che le cose andarono così: lei, mia figlia, e quell’altro (l’amante Carlo Cappelletti) se la intendevano! Hanno ballato tutta quella sera! Per tanto tempo non li ho più visti. Potevano anche prendere la macchina e andare a casa».
Sottinteso: a sferrare 17 coltellate, con un’arma mai ritrovata. La reazione di Tamara Iacopi è dolorosa, ma laconica:
«Non voglio ripiombare nell’incubo che ho vissuto. Se mia madre è impazzita non posso ancora una volta andarci di mezzo io».

Maria Luigia Redoli all’epoca dei fatti